La mano invisibile

Per rendersi appetitosi ci sono partiti o propaggini di partito che svoltano a centottanta gradi, facendosi cavalieri di temi che − per quel che hanno sempre rappresentato e difeso − sono il contrario di sé stessi. Cavalcano, ad esempio, il potere d’acquisto, accorgendosi che il problema può rendere sull’elettore che ha memoria corta, quando infatti si sa che proprio da quella parte, con chi li sostiene e finanzia, si preferiscono i profitti e i dividendi (sempre aumentati) alla rimunerazione del lavoro, ai salari (nell’ipotesi migliore fermi o per niente o poco proporzionali all’aumento della produttività o della ricchezza creata); quando si sa, come ora, che per quella stessa parte è blasfemo e suicida parlare di indicizzazione dei salari al carovita perché ci sono gli aumenti dei costi dell’energia, delle materie prime, dei trasporti (rinunciando quindi ad ammettere, come logica economica comanda, che il potere d’acquisto è appunto d’acquisto e se tagli la domanda, allora sì che ti suicidi).

 

Cavalcano, ad esempio, la difesa della classe media, divenuta pure un problema per i costi crescenti che le si addossano. Continuando a vendere − nonostante tutte le smentite dalla realtà e dalla scienza economica − la barzelletta fiscale in base alla quale devi premiare e attirare in ogni modo chi ha e dispone perché la ricchezza sgocciola dall’alto verso il basso e fa così contenti tutti, anche i soliti esclusi. I quali, altrimenti, rimarrebbero sempre al palo perché si può distribuire solo se si permette di accumulare (anche se si accumula più proficuamente a Panama o nelle Vergini o a Monte Carlo, godendosi comunque il bel Ticino, la sua natura, la sua generosità, magari predicando sui giornali la “improrogabile parità di bilancio”). Questa volta aggiungono e strombazzano però qualcosa di relativamente nuovo, ma anche di contraddittorio (rispetto al loro “ordine liberale” che non vuole ingerenze statali e massima responsabilità individuale, per non aumentare le imposte): sussidi della Confederazione alle casse malati per ridurre i premi; esenzioni alle immobiliari per ridurre le pigioni.


Alle volte guardare ciò che capita in casa d’altri è molto istruttivo e apre anche qualche speranza. Noi spesso imitiamo o copiamo quel che si intraprende o capita negli Stati Uniti. I quali sono confrontati con gli stessi nostri problemi: potere d’acquisto, diseguaglianze sempre crescenti, classe media alla malora (per l’educazione, l’alloggio, la salute, l’indebitamento, la pensione insufficiente). Dagli anni Ottanta (Reagan) la demolizione dei sindacati, ritenuti il guaio di tutto, è stata sistematica, e le legislazioni sfavorevoli al lavoro si sono moltiplicate; le imprese si sono spesso rivolte a studi d’avvocati per evitare l’insediamento di sindacati (Union Avoidance). Più di uno studio (usciti da Harvard e dall’Università di Washington) dimostra ora una correlazione netta tra il calo della sindacalizzazione e la crescita esplosiva delle ineguaglianze o la condizione salariale (inferiore del 45 per cento di quanto dovrebbe essere se il solo rapporto con la produttività fosse stato mantenuto).


Conclusione: secondo un sondaggio pubblicato lo scorso 30 agosto dal noto Istituto Gallup il 71 per cento degli Americani rivuole e sostiene il lavoro delle organizzazioni sindacali, sia perché ancora prima del potere d’acquisto conta il potere contrattuale, perso, sia perché a ragion veduta sono più credibili dei partiti. Del mai visto, si sostiene, dal 1965. Forse qualche domanda potremmo farcela.

Pubblicato il 

14.09.23
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