C’è frenesia in Europa. La legislatura del Parlamento europeo sta per concludersi e un’alleanza transnazionale di associazioni imprenditoriali e politici neoliberisti sta cercando in seno al Consiglio dei ministri dell’UE di bloccare all’ultimo minuto due leggi sociali, come la direttiva sul lavoro per le piattaforme digitali e quella sulla catena di approvvigionamento, che obbligherebbe le aziende di tutto il mondo a lavorare solo con fornitori che rispettano standard minimi in materia di lavoro, diritti umani e ambiente.

 

Una legge quest’ultima che, a causa dell'opposizione di alcuni Stati membri, rischia di fare la stessa fine dell’iniziativa per multinazionali responsabili in Svizzera, affossata in votazione il 29 novembre 2020 (dopo una campagna allarmistica delle associazioni padronali) per essere stata approvata da oltre il 50% del popolo ma da una minoranza dei Cantoni. Una doppia maggioranza che è necessaria anche nell’UE affinché le direttive europee diventino legge: non serve infatti soltanto l’approvazione del Parlamento europeo, ma anche una doppia “maggioranza qualificata” nel Consiglio dei ministri, la quale è data se si verificano contemporaneamente due condizioni: servono almeno 15 Stati membri su 27 che votino a favore della proposta e questi, insieme, devono rappresentare almeno il 65% della popolazione totale dell'UE.

 

Per quanto riguarda invece la direttiva sulle piattaforme, a gennaio, le società che vi operano hanno ottenuto una parziale vittoria nel Consiglio dei ministri dell’UE, dove un’alleanza guidata dal presidente francese Macron è riuscita a bloccare l’adozione di norme che avrebbero rafforzato i diritti di corrieri e autisti (area ne ha parlato nel numero scorso (qui).

 

L'8 febbraio il Consiglio dei ministri e il Parlamento hanno concordato un progetto di legge semplificato che comunque migliora le condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme. Rispetto al testo originale è stata eliminata la lista di controllo dettagliata, che aveva lo scopo di determinare esattamente quando i lavoratori delle piattaforme devono essere classificati come dipendenti. Tuttavia, secondo il testo normativo semplificato, in linea di principio sono ancora considerati lavoratori dipendenti, così da non poter più negare loro il salario minimo e altri diritti sociali.

Ma, proprio per questo motivo, il Governo Macron, così come i neoliberisti in Germania, Grecia ed Estonia, hanno bloccato anche la versione semplificata, nonostante 23 Governi si fossero espressi a favore. Le miliardarie piattaforme digitali non devono però cantare vittoria. Il processo legislativo dell’UE si è concluso per ora con un nulla di fatto, ma la lotta transnazionale per ottenere maggiori diritti sociali nell’UE è stata proficua.  Nonostante le enormi risorse investite nell’attività di lobbying a Bruxelles, le piattaforme digitali non sono riuscite ad ancorare nel diritto europeo un nuovo status per i lavoratori delle piattaforme. Uno statuto intermedio, né dipendente né datore di lavoro, che avrebbe legalizzato il loro modello commerciale di sfruttamento in tutta Europa. I lavoratori delle piattaforme sono così riusciti a neutralizzare il lobbismo delle imprese attraverso una contro-campagna transnazionale. Anche grazie a eurodeputati di sinistra, come Leïla Chaibi, che hanno saputo utilizzare le risorse del Parlamento europeo (interpreti ecc.) per riunire le persone in tutta Europa.

 

Dopo il fallimento della legge sociale dell'UE sul lavoro su piattaforma, la Confederazione europea dei sindacati ha invitato i 23 governi costruttivi a combattere il falso lavoro autonomo con norme nazionali. È possibile anche un secondo tentativo a livello europeo, in particolare se i neoliberisti saranno puniti alle prossime elezioni europee del 9 giugno. Anche i modelli commerciali di sfruttamento sono diventati ormai un tema elettorale in tutta Europa grazie alla battaglia sulla direttiva europea sulle piattaforme. Nell’opinione pubblica soffia un vento contrario, avvertito anche dalla FDP tedesca e dalle organizzazioni imprenditoriali, che attualmente stanno cercando di sabotare la legge europea sulla catena di approvvigionamento. Sembra che parti importanti dell'economia europea dipendano addirittura dal lavoro minorile e schiavistico

Pubblicato il 

15.02.24

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