Nei trent’anni in cui Giorgio Giudici è stato sindaco, Lugano è diventata la nona città svizzera col processo aggregativo, è nata l’Università della Svizzera italiana e l’idea del Polo culturale al Lac. Le critiche alla sua gestione non mancarono, ma gli avversari gli riconoscono di non essersi mai nascosto nel difendere le sue posizioni. E benché inizialmente fosse risolutamente contrario, la compagine municipale da lui diretta risolse la storica rivendicazione del centro autogestito firmando la Convenzione che portò i molinari all’ex Macello. Da profondo conoscitore dei meccanismi istituzionali e politici della città, sullo sgombero e la demolizione del Molino, Giorgio Giudici ha un’idea precisa.


«Sono convinto che la decisione della demolizione sia stata presa con largo anticipo. Una decisione che non può esser stata presa dalla sola polizia senza l’autorizzazione dell’autorità politica comunale o cantonale. Nei miei anni da sindaco, avendo avuto per due volte la responsabilità del Dicastero Polizia, ho sempre avuto incontri regolari con il Comandante della Polizia Comunale. Non avrebbe mai deciso una cosa importante dalle implicazioni politiche senza consultarmi. Nella gestione dell’ordine pubblico allo stadio, la polizia ha la sua autonomia. Nei casi di ordine pubblico dalle implicazioni politiche, no. Distruggere uno stabile del Comune, senza il mio avallo, sarebbe stato impensabile.


Lo stesso meccanismo si può dire esista nei rapporti tra Polizia Cantonale e Dipartimento delle istituzioni?
Credo proprio di sì.


Lei ha espresso pubblicamente più volte la sua contrarietà su come sia stata gestita la questione post demolizione. Perché?

Quel che mi dà fastidio di questa vicenda, è la mancata assunzione di responsabilità. Nessuno se l’assume, scaricando il barile a Karin Valenzano. Spero solo che il Municipio faccia quadrato attorno alla collega. Se si prende una decisione, la si assume pubblicamente insieme. Bisogna avere il coraggio delle proprie scelte. Le racconto un aneddoto. Molti anni fa, un agente della comunale fu sorpreso ad “arrotondare” le multe. Lo convocai e l’invitai a dimettersi. In Consiglio comunale ci fu un’interpellanza sul perché non l’avessi denunciato. Risposi di aver scelto il “semplice” licenziamento poiché era padre di tre figli. Mi assunsi la responsabilità della scelta non ortodossa, ribadendo che l’avrei ripetuta cento volte senza mai pentirmene.
 

Quando decisero lo sgombero del Molino dall’ex Macello, lei obiettò che sarebbe stato illusorio chiudere la questione con un’operazione di forza.
Credo che la questione sia stata mal gestita poiché influenzata da chi non aveva le responsabilità esecutive. È facile contestare il Municipio, quando poi tocca a quest’ultimo gestire la questione. Ne ha la responsabilità nel rispetto dell’intera cittadinanza. Nel caso dell’ex Macello, si sarebbe potuto utilizzare il tempo antecedente all’inizio dei lavori del nuovo progetto sul sedime dell’ex macello per individuare una sede alternativa plausibile. Quando in Municipio sedevamo Bignasca, Cansani e il sottoscritto, i molinari non hanno mai causato grossi problemi. Sapevano di avere dei possibili interlocutori in caso di necessità. Chiudere ad ogni contatto, avrebbe portato a più problemi senza risolverne nessuno.

Pubblicato il 

21.03.24