Mercoledì 22 novembre ci sarà una manifestazione di protesta contro i tagli alla spesa pubblica di 134 milioni proposti dal governo cantonale nel Preventivo 2024. A metà dicembre invece, toccherà al Gran Consiglio dibatterne. In vista della discussione sui tagli, ne parliamo con Ivo Durisch, capogruppo del Partito socialista nel parlamento ticinese.

 

Ivo Durisch, nel corso del dibattito sul decreto Morisoli nel 2021, lei disse che i tagli sarebbero stati inevitabili, stilando un breve elenco delle voci di spesa a rischio: «Istituti per anziani e invalidi, servizi assistenza e cura a domicilio e ospedali». Non è che fece un favore al governo nel preparargli la lista dove tagliare, puntualmente azzeccata?
Spero di no (Ride, ndr). In realtà, era abbastanza logico che si andasse in quella direzione. Le entrate si erano appiattite negli ultimi anni a causa degli sgravi, mentre le uscite corrono parallele alla crescita del Prodotto interno lordo. Essendo il Dss quello che presenta la spesa maggiore, era inevitabile che andassero a tagliare in quei settori.


Nessuna dote di preveggenza dunque, ma semplice logica deduzione. Quanto sono pesanti questi tagli?
Sono molto pesanti. Lo sono ancor di più di quelli del 2016. Oggi si prevede di tagliare 11 milioni negli istituti per invalidi, mentre per gli altri enti il taglio va moltiplicato per cinque, essendo il contributo cantonale del 20%. Non solo. Ad alcuni enti, come l’Eoc che necessiterebbe di fondi per trattenere il personale in fuga, il Cantone chiede di privarsi di sei milioni per finanziare le casse pubbliche. Un’assurdità. Ma la questione va capovolta.


Cioè?
Il vero problema sono le mancate entrate. Dal 2017 al 2025, le riduzioni delle imposte votate dal parlamento ammontano a duecento milioni. Soldi che ora mancano e per recuperarli si vuole tagliare sulle uscite. Un secondo grave problema è l’aumento della diseguaglianza. La crescita della spesa è anche conseguenza diretta dell’aumento della povertà e di esternalizzazioni negative dovute al nostro modello industriale.


Il trittico di destra Plr-Lega-Udc sostiene che esistano due sole opzioni: aumentare le tasse o non aumentarle.
Noi sosteniamo che almeno non si riducano le entrate. A memoria, non ricordo nessun aumento delle tasse. L’unico caso riguarda i valori di stima immobiliari. Ma il loro rialzo è obbligatorio per legge, come ricorda puntualmente il Tribunale federale nelle sue decisioni. È vero invece che le tasse sono state ridotte in più occasioni. Solo negli ultimi otto anni, hanno causato duecento milioni di minori entrate alle casse cantonali.


I tagli annunciati per il prossimo anno sarebbero solo l’antipasto. Il governo ha già preannunciato nuove misure nel preventivo 2025.
E rischiano di essere ancor più dolorose. Malgrado quest’anno abbiano già raschiato il fondo del barile vendendo terreni per nove milioni e liberando riserve accantonate, restano ancora circa 115 milioni a piano finanziario da recuperare il prossimo anno. Ciò vuol dire che dovranno adottare dei tagli ancor più pesanti nel preventivo del 2025. Tagli strutturali, che incideranno fortemente sui servizi statali.


In parallelo, a luglio il governo ha proposto una nuova riforma tributaria di sgravi ai redditi alti, da finanziare col passaggio dal 97 al 100% del coefficiente cantonale d’imposta. Su quel tre per cento ora si è aperta un’ampia discussione tra i gruppi politici.
Anche in questo caso il dibattito è piuttosto contradditorio. La destra sostiene di difendere il ceto medio mantenendo il moltiplicatore al 97%. Le cifre dicono il contrario. Per una famiglia con un figlio e un reddito di centomila franchi, il risparmio annuo in tasse ammonta a cento franchi. Alla collettività costa circa 45 milioni. Coi tagli previsti, la stessa famiglia riceverà duemila franchi di sussidi cassa malattia in meno l’anno prossimo. A conti fatti, ne perde 1.900 di franchi. È ora di sfatare la favola che la destra difenda gli interessi della classe media. Non è così e i fatti supportati dalle cifre, lo attestano.


Nella classe media rientra anche buona parte dei dipendenti pubblici, il cui reddito sarà tagliato...
Vero. Da un lato, i redditi degli impiegati cantonali subiranno una deduzione del 2% progressiva a partire dai salari di 60mila franchi annui. Ancor più pesante sarà il mancato riconoscimento del rincaro, che andrà a colpire tutti gli impiegati cantonali, redditi bassi compresi. Stiamo parlando di decine di migliaia di persone e famiglie a cui il potere d’acquisto sarà decurtato, influenzando così l’intera economia cantonale. Nella discussione, poi, manca un punto centrale.


Dica…
Il dibattito è focalizzato, comprensibilmente, sui tagli. Ma quel che è desolante di questa manovra, è l’assenza di nuovi compiti nel Preventivo dell’anno venturo. Vuol dire che tutta la progettualità è bloccata. Non solo della politica, ma anche degli enti sussidiati. Prosciugandogli i fondi, tutti i progetti sono bloccati. È gravissimo. La società avanza, non regredisce.
Come cercherà il fronte progressista di combattere la paralisi di società?
Faremo battaglia in parlamento per bloccare taglio su taglio, punto su punto. Malgrado la maggioranza di destra in Gran Consiglio, abbiamo delle possibilità di riuscirci col contributo dei singoli deputati. Ma la partita non si gioca solo in parlamento. Fondamentale sarà la forza di mobilitazione della sinistra e dei sindacati nella manifestazione del 22 novembre.


Parlando di popolazione, è utile ricordare che il decreto Morisoli fu approvato in votazione popolare.
È vero. Per convincere la popolazione, i favorevoli sostenevano che non ci sarebbero stati dei tagli dolorosi. Ora i nodi vengono al pettine. A sinistra, abbiamo il dovere di ripetutamente smascherare le narrazioni da destra. Gli sgravi non favoriscono il ceto medio, ma i ricchi. Il contenimento della spesa non si sarebbe potuto realizzare senza tagliare il sostegno ai più deboli della società. Ridurre la spesa, vuol dire togliere progettualità alla collettività, facendola arretrare invece di progredire. Abbiamo il dovere di ripetere questi punti continuamente, per sconfiggere la narrazione surreale proposta da destra.  


Se prendiamo per buone le reazioni sui social, l’indignazione popolare ai tagli pare alta. Una parte significativa sostiene però che la colpa sia dei soldi dati agli “altri”, mentre per i nostri non ce ne sono mai. Cosa risponde l’uomo di sinistra a queste tesi?
Anche in questo caso, con le cifre. La prassi restrittiva del Dipartimento delle istituzioni cantonale che minacciava la revoca dei permessi a chi chiedeva i sussidi ai premi malattia o gli assegni familiari di complemento oppure l’assistenza, ha fatto sì che i numeri delle richieste siano calati drasticamente. I ricorsi al Tf avevano poi corretto la rigida interpretazione, ma ormai la paura fra i potenziali beneficiari era stata propagandata. L’unico aumento di spesa pubblica, sostenuto peraltro in gran parte dalla Confederazione, riguarda il caso dei permessi S. Nel complesso però la narrazione secondo cui l’aiuto è stato tolto ai poveri svizzeri per darlo agli stranieri non regge. È vero invece che la politica cantonale di favorire l’insediamento d’imprese che hanno portato precarietà occupazionale e sottopagata in cambio di sconti fiscali, ha impoverito il tessuto e il territorio ticinese.

Pubblicato il 

16.11.23
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