Società

«Vedo disperazione, ma ai giovani dico che non tutto è perduto»

Intervista al cantante basco Juantxo Skalari (ex Skalariak) domani in concerto a Lugano, che parla dell'ascesa dell'ultradestra in Europa: «Come specie umana abbiamo toccato il fondo. Si può solo risalire»

Juantxo Skalari e la Rude Band suoneranno domani, giovedì 1° febbraio, allo Studio Foce di Lugano (QUI SI POSSONO ACQUISTARE I BIGLIETTI). Quella ticinese è la prima tappa del tour di presentazione del nuovo album (“Radical Park - Episode 1”) e che porterà la band a suonare nei prossimi mesi in tutta Europa e in America Latina. L’arrivo a Lugano della band è stato un’occasione per potere intervistare il suo cantante, un musicista sulla breccia da trent’anni. Fondatore nel 1994 dei mitici Skalariak, Juantxo Skalari è ancora sulla cresta dell’onda con la sua musica potente e impegnata.

 

Juantxo, benvenuto a Lugano. Cosa vi ha portato a iniziare proprio qui il vostro nuovo tour?

Era previsto che iniziasse a Barcellona il 24 febbraio per presentare il nuovo album che ufficialmente esce il 9 febbraio, ma abbiamo avuto l’opportunità attraverso la band italiana Los Fastidios di fare un minitour insieme, c’era una data libera e ci hanno chiamato per suonare a Lugano. Questo minitour in Europa è un antipasto prima di andare a suonare in tutta la Spagna e in diversi Paesi dell’America Latina. Per noi è un’occasione per riunirci con il pubblico europeo dopo molti anni.

 

Ha già suonato diverse volte in Svizzera. Ha qualche ricordo particolare?

In Svizzera, con il mio precedente gruppo – gli Skalariak – abbiamo fatto molti concerti, con serate magiche alla Rote Fabrik di Zurigo o suonando nei festival più importanti del Paese. Abbiamo sempre ricevuto un’ottima accoglienza. Ora con Juantxo Skalari & La Rude Band sta diventando più complicato viaggiare non solo in Svizzera, ma anche in altri Paesi europei: la scena è diversa, ma non è detto che questo non possa cambiare…

 

A trent’anni dalla fondazione degli Skalariak è ancora in piena attività, con un nuovo album. Motivato e combattivo come sempre. Il nuovo singolo "No Volverán è un appello urgente ai giovani di tutto il mondo affinché contrastino l’ascesa dell’estrema destra e riprendano in mano i destini del mondo. È più ottimista sul ruolo che i giovani possono svolgere o più negativo sullo stato attuale del pianeta?

Sono una persona positiva e credo che dietro ogni situazione negativa ci sia un’opportunità. In effetti l’ascesa dell’ultradestra in Occidente è un dato di fatto. Forse abbiamo toccato il fondo come specie umana, e quando si tocca il fondo si può solo risalire, rialzarsi. Non sono però in grado di leggere il futuro e possiamo solo aspettare di vedere cosa accadrà. Quello che faccio è scrivere musica e messaggi, analizzando quello che vedo intorno a me, confrontandolo con quello che ho vissuto negli anni, semplificandolo in una canzone.

 

E cosa vede, intorno a lei?

Vedo la disperazione nei giovani, l’incomprensione e la stanchezza. Bisogna spiegare loro che non tutto è perduto, che nascondersi dietro i discorsi dell’ultradestra è facile, il difficile è avere la capacità e la cultura per evitare la manipolazione. Questo significa essere liberi: raggiungere la propria indipendenza mentale per distinguere le bugie dalla verità. In questo la conoscenza e la cultura sono importanti per forgiare il proprio cammino con libertà di pensiero.

 

Molti dei suoi brani hanno una connotazione politica. In che modo la musica, in particolare lo ska, può aiutare nella lotta politica promuovendo ad esempio una società più giusta e multiculturale?

 Sì, c’è una carica sociale in alcuni dei miei testi, anche se è vero che non è l’unico tema. La musica deve essere goduta in tutti i sensi. La uso per scaricare i miei pensieri, le mie denunce, le mie preoccupazioni personali, le mie paure e le mie speranze. Lo ska, con le sue diverse versioni in reggae, rocksteady o punk-rock, è una musica molto viva, con momenti combattivi ma anche festosi, ed è per questo che mi ha sempre affascinato. I nostri spettacoli dal vivo sono molto energici, non chiedo alla gente di pensare troppo a un nostro concerto, ma di scrollarsi di dosso la rabbia, le frustrazioni, le preoccupazioni... e di lasciarsi andare e soprattutto di divertirsi. I dischi, a casa, nell’intimità, sì, servono per pensare, per riflettere, ma dal vivo bisogna scuotersi, e questo mi piace. 

 

Ho letto che la canzone Partisana è dedicata a sua nonna. Ci può descrivere questo personaggio?

In realtà non era una partigiana. Ma è vero che all’inizio della guerra civile spagnola dovette andare in esilio in Francia perché era la moglie di un repubblicano assassinato. Mio nonno José era sindaco durante il periodo repubblicano in un villaggio dell’Aragona e lo assassinarono all’inizio della guerra civile, nel 1935, perché voleva cambiare le cose nel villaggio: cercava di eliminare i privilegi, promuovere la cultura, l’istruzione tra i più svantaggiati... e la pagò cara. Mia nonna Pepita dovette andare in esilio in Francia per qualche anno, dato che in quegli anni le famiglie repubblicane erano perseguitate. Una volta in Francia vissero per qualche anno fino a quando la Germania nazista invase la Francia e non ebbero altra scelta che tornare in Spagna, con tutti i rischi che questo comportava. Per questo ai tempi degli Skalariak ho reso omaggio a mio nonno José (in “José República”) e poi con il progetto Juantxo Skalari & La Rude Band ho voluto rendere omaggio alle donne combattenti anonime come mia nonna: quelle a cui la storia non ha dedicato una prima pagina, un titolo, e che sono state dimenticate, come le partigiane e tante altre donne combattenti che sono state eclissate dal potere maschile.

 

Negu Gorriak, Kortatu, Betagarri, naturalmente Skalariak, ma anche molte altre. Negli anni Ottanta e Novanta, i Paesi Baschi erano un focolaio di gruppi punk, ska e reggae molto conosciuti anche al di fuori della vostra terra. In che misura questo era dovuto al contesto politico, all’indipendentismo basco e alla repressione?

 Gli anni 80 e 90 sono stati due decenni molto turbolenti, di conflitti, di violenza a destra, a sinistra e al centro, ma c’è stata anche un’importante esplosione culturale. Credo che ci fosse il desiderio di scaricare l’adrenalina, il desiderio di scrollarsi di dosso i problemi, la repressione, le frustrazioni. Inoltre, la popolazione era davvero molto giovane, a differenza della società di oggi che invecchia. All’epoca il tasso di natalità era molto alto e credo che anche questo sia stato un fattore fondamentale per riattivare le cose e mobilitare la cultura e le strade.

 

Quali erano allora i suoi riferimenti culturali, musicali e politici?

 Da un punto di vista musicale vi era sicuramente il rock radicale basco degli anni 80 (Kortatu, Tijuana in Blue, Barricada, Hertzainak) ma anche i gruppi che cominciavano ad apparire nella terza ondata  degli anni 90 in Europa (The Busters e Mr Review), in America del Nord (No Doubt, Rancid e NoFx), e in Spagna (Los Fabulosos Cadillacs), ma cercavo anche le origini di quella musica e per questo ascoltavo anche lo ska e il reggae che si faceva in Giamaica negli anni 60. A livello lirico mi hanno influenzato molto numerosi poeti spagnoli come Miguel Hernández, Gabriel Celaya o latini come Nicanor Parra, Pablo Neruda. A livello politico, sono sempre stato molto interessato alle rivoluzioni che hanno avuto luogo in diversi Paesi dell’America Latina, come Cuba. Anche lo zapatismo messicano è stato di grande ispirazione: gli anni dell’esplosione dello zapatismo hanno coinciso con le mie prime visite in Messico in tournée.

 

Che ruolo ha avuto la lingua basca nel rivendicare le vostre radici da una prospettiva di sinistra militante?

Il basco è una lingua minoritaria dal punto di vista internazionale, ma è anche un tesoro perché è una delle poche lingue preindoeuropee che si sono conservate. Anche se non è la mia lingua madre, la uso in alcune delle mie canzoni, rappresenta le mie origini e fa parte della cultura della mia terra, anche se vivo vicino a Barcellona da più di vent’anni. L’autodeterminazione di tutti i popoli è un diritto internazionale, sia che si parli di baschi, catalani, galiziani o altri piccoli popoli che cercano di sopravvivere (culturalmente parlando) in questo mondo globalizzato.

 

Skalariak è stata fondata 30 anni fa, qual era la situazione nei Paesi Baschi in quel periodo?

Il conflitto era evidente in quegli anni. Possiamo parlare di assassinii da parte dell’ETA, di torture e assassinii da parte della polizia, di incarcerazioni di massa di militanti baschi, di persecuzioni, di agitazioni nelle strade. Ora il conflitto è di bassa intensità, non c’è l’ETA, la polizia non preme così tanto, non ci sono molte agitazioni nelle strade. Siamo in un contesto diverso, anche se il mio punto di vista è esterno dato che da vent’anni vivo in Catalogna.

 

Oggi la questione basca sembra essere scomparsa dal radar dei media, almeno a livello internazionale. Da un lato forse è un bene e c’è meno violenza, ma è davvero così? Qual è la situazione attuale?

La situazione è molto diversa oggi rispetto agli anni 90 o al primo decennio del XXI secolo. L’ETA è scomparsa, ma ho l’impressione che ci vorrà ancora qualche decennio per raggiungere una pace totale, ci sono ancora centinaia di prigionieri nelle carceri spagnole e finché non ci sarà un riconoscimento e il popolo basco potrà esercitare il diritto di decidere autonomamente del proprio futuro, ci sarà sempre un conflitto, anche se di bassa intensità. Lo dico dal punto di vista di chi vive da molti anni fuori da Pamplona, la mia città natale.

 

Dal punto di vista musicale, c’è sempre fermento nella sua terra d’origine?

Sì, ci sono sempre nuove band nella scena ska-reggae come gli Skabidean, ci sono band veterane che vanno ancora forte, come gli Akatz, e band molto giovani come gli Herenegun.

 

Siete anche ancora in tournée internazionale. Parafrasando una vostra canzone, Rudi non è ancora morto, è così? Perché il Rudi che è in noi non dovrebbe morire?

Rudi rappresenta lo spirito combattivo, lo spirito che è nato nei ghetti giamaicani e lo spirito di quelli di noi che hanno ancora la motivazione per continuare a credere in questa musica, per continuare a creare canzoni, per continuare a riempire i concerti, nonostante il passare degli anni. Lo slogan “Rudi Not Dead” è un adattamento di “Punks Not Dead” ma in ambito ska-reggae, perché stiamo ancora andando forte, stiamo ancora combattendo e vogliamo ancora andare avanti.

 

Ci può dire qualcosa del nuovo album (Radical Park - Episode 1) che presentate per la prima volta a Lugano?

Questo album è legato a tutti gli album precedenti, perché da Skalariak a Juantxo Skalari & La Rude Band il collegamento concettuale è totale. L’album Radical Park E1 ha un certo carattere cinematografico, in quanto tutte le canzoni sono collegate con diverse sequenze o intermezzi che riflettono questo carattere. A livello musicale è chiaro che gli ideali “grezzi” rimangono, ma l’evoluzione del suono degli Skalari negli ultimi anni è innegabile. Inoltre, questo nuovo album presenta tre collaborazioni uniche: Mimi Maura (Porto Rico / Argentina), Auxili (Reggae, Valencia), Los de Marras (Punk- Rock, Valencia). L’album è un cocktail che cammina tra reggae, ska, rocksteady, rock e punk, supportato da una consolidata Rude Band, con testi impegnati che non vi lasceranno indifferenti. Per il concerto di Lugano, così come per il resto del tour, presenteremo questo nuovo album, ma ci sarà anche tempo per i successi di tutta la storia degli Skalari. Quindi saranno pieni di quella combinazione di passato e presente.

L'annotazione

Fiesta e militanza politica

 

Nel girovagare di gusti musicali di chi vi scrive c’è sempre stata una misteriosa passione per la scena ska/punk basca. Non so spiegare esattamente la ragione di questa fissa per delle band che cantano in Euskera, la difficilissima lingua di quelle terre schiacciate tra i Pirenei e l’Oceano Atlantico. Certo, sulle qualità musicali di tanti gruppi del Paese Basco non si può discutere: spingono forte e sanno coniugare abilmente generi musicali come il punk, lo ska, ma anche il reggae e il rap. Ma c’è senz’altro qualcosa in più che va ricercato nello spirito di queste band che hanno saputo coniugare la fiesta con la militanza politica e l’impegno sociale. Tra queste band una delle mie preferite dei tempi erano senz’altro gli Skalariak. Ricordo un’estate spensierata, nel lontano 2002, in cui con gli amici passammo in furgone dalla costa basca a ritmo di Vodka Revolución, una delle loro hit del momento. Oggi, oltre vent’anni dopo quel viaggio e trent’anni dopo la fondazione degli Skalariak, ho potuto intervistare il leader del gruppo, quel Juantxo Skalari che è sempre sulla scena con la sua band basata in Catalogna, la Rude Band, e che da Lugano si lancia con un nuovo imperdibile tour.

Pubblicato il

31.01.2024 08:56
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