Una manna per pochi

Ecco perché l’implementazione svizzera della tassa minima globale sulle multinazionali avvantaggerà soprattutto una minoranza di Cantoni ricchi

Tra i temi in votazione il prossimo 18 di giugno quello sull’attuazione del progetto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sull’imposizione dei grandi gruppi di imprese è sicuramente il più ostico. Dietro alla naturale complessità di un argomento a carattere fiscale si cela però qualcosa di semplice: la ripartizione, all’interno della Svizzera, delle entrate economiche che la nuova imposizione dovrebbe generare. Così come è stata implementata dal parlamento, su spinta dell’Udc e delle lobby economiche, questa ripartizione non va. Ecco perché sinistra e sindacati invitano a votare no.

Immaginate di essere al ristorante con diverse persone con le quali avete concordato che, alla fine del pasto, il conto verrà diviso tra tutti in parti uguali. Tra i commensali, rispetto a voi, c’è chi comanda più cibo, beve vini pregiati e digestivi d’annata. Tanto alla fine paga la comunità e voi, che avete mangiato solo un’insalatina, spendete una cifra sproporzionata. In economia si parla del “dilemma del prigioniero”: è la situazione in cui le persone fanno ricadere sulla collettività il peso di una decisione che va a proprio vantaggio. È esattamente così che funziona la concorrenza fiscale. Alcuni Stati fanno ricadere sul resto del mondo il peso del proprio comportamento egoistico.

 

È proprio per combattere questo fenomeno che l’Ocse ha deciso di introdurre una riforma sulla fiscalità delle multinazionali. Circa 140 Stati, tra cui la Svizzera, hanno aderito al progetto che prevede l’imposizione dell’utile dei grandi gruppi di imprese attivi a livello internazionale con un’aliquota minima del 15 per cento. Un tasso che prima si voleva più elevato, ma che poi a seguito della pressione di alcuni Stati a fiscalità leggera, tra cui la Svizzera, è stato ridimensionato. Ricordiamo che ad essere tassati sono gli utili – ossia i guadagni netti – delle più grandi imprese attive a livello locale.


Al tavolo del fisco internazionale, la Svizzera è sempre stata uno di quei commensali che più si abbuffava a discapito degli altri.


Secondo il professore a Berkeley Gabriel Zucman, autore del libro di riferimento “La ricchezza nascosta delle nazioni”, il 39% degli utili tassati nella Confederazione proviene dall’estero. Le nuove regole internazionali hanno voluto mitigare questo modo di fare e imporranno dal 2024 un nuovo galateo. Nella Confederazione il nuovo accordo internazionale prenderà la forma di un’imposta integrativa  che toccherà i grandi gruppi di imprese attivi a livello globale che realizzano una cifra d’affari annua di almeno 750 milioni di euro. Questa nuova imposta – sottoposta a referendum in quanto occorre creare una base costituzionale che ammetta la disparità di trattamento tra imprese – colmerà così la differenza tra l’attuale tassazione e il 15% minimo previsto dall’Ocse. Risultato: nella casse pubbliche elvetiche si stima possano finire tra gli 1 e i 2,5 miliardi di franchi supplementari.


È proprio sul destino di questo bel gruzzoletto che si è focalizzato il dibattito politico. Sul principio, infatti, la minimum tax – benché per alcuni un po’ troppo minimum – non è messa in discussione. La situazione può a prima vista anche apparire paradossale: la destra e le lobby economiche che sostengono l’aumento delle tasse alle impresa e la sinistra e i sindacati che invece vi si oppongono. Sembra un mondo capovolto. Ma a ben  guardare, tutto va secondo la logica delle cose. A suscitare le criticità e l’opposizione da parte dei sindacati, dei partiti di sinistra e di alcune organizzazioni non governative – che non sono però all’origine di un referendum per forza di cose obbligatorio – è soprattutto la chiave di ripartizione del nuovo tesoretto. Una spartizione che rappresenta un’altra cena, dove c’è che si abbuffa e chi rimane a bocca asciutta. Salvo poi, anche in questo caso, dividersi il conto in parti uguali. A tavola questa volta non ci sono gli Stati, bensì i Cantoni svizzeri. A stabilire chi mangia tanto e chi poco è stata la maggioranza del parlamento. Il modello prescelto prevede infatti che il 75 per cento delle entrate derivanti dalla nuova imposta integrativa sarà destinato ai Cantoni che finora applicavano alle grandi imprese aliquote d’imposta inferiori, ossia quelli dove hanno sede le principali multinazionali. L’altro 25 per cento delle entrate supplementari spetterà invece alla Confederazione.


L’estate scorsa, una ricerca dell’istituto Bss ha stimato che soltanto i Cantoni di Zugo e Basilea Città incasserebbero quasi la metà del gettito aggiuntivo previsto. Ciò è dovuto al fatto che in questi cantoni ha sede un numero particolarmente elevato di multinazionali farmaceutiche o del settore delle materie prime che attualmente pagano meno del 15% di imposte. Questi Cantoni potranno così promuovere nuovi sgravi fiscali per rendere ancora più attrattiva la loro piazza economica e ampliare così il fossato della concorrenza fiscale intercantonale. Non c’è problema, dicono i fautori di questa chiave di ripartizione: grazie alla perequazione finanziaria, il denaro subirà una ripartizione più equa in una seconda fase. Per dirla con le parole della ministra delle finanze Karin Keller-Sutter «anche i Cantoni finanziariamente più deboli beneficeranno dell’imposta minima».

 

È davvero così? Il giornale svizzero tedesco Wochenzeitung (Woz) ha comparato le stime dello studio del Bss con le somme che i singoli Cantoni dovrebbero ricevere o versare con la perequazione fiscale secondo i dati della Confederazione. Come si vede nel grafico sopra, l’effetto della perequazione finanziaria non contribuirà a distribuire in maniera più equa il denaro. In alcuni casi, al contrario, le diseguaglianze verrebbero accentuate. Su una stima di 242 milioni di franchi di entrate aggiuntive all’anno, Zugo dovrebbe versare solo 31 milioni di franchi. Il caso di Basilea Città è ancora più eclatante: il Cantone ridistribuirebbe solo 8 dei suoi 272 milioni. Basilea riceverebbe 1.379 franchi per abitante, di cui 42 andrebbero alla perequazione finanziaria. Certo, sedici Cantoni riceverebbero un po’ di denaro attraverso il sistema di ridistribuzione tra Cantoni ricchi e Cantoni più poveri. Tuttavia, più di venti Cantoni riceveranno una cifra inferiore alla media per abitante situata attorno ai 200 franchi. Come dire che per 7,5 milioni di persone in Svizzera questa chiave di ripartizione è un pessimo affare.

 

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L'intervista: «L’Udc sogna il modello Zugo»

 

Samuel Bendahan, consigliere nazionale vodese per il Partito socialista (Ps), membro della commissione economia e tributi, è stato uno dei promotori in parlamento di una chiave di ripartizione diversa degli eccedenti fiscali che scaturiranno dall’implementazione svizzera della “minimum tax”. Lo abbiamo intervistato.  

Signor Bendahan, finalmente una tassa minima internazionale per le multinazionali. Ed ecco che la sinistra e i sindacati sono contrari. Non è un controsenso?


Assolutamente no. Non ci opponiamo assolutamente all’imposta minima internazionale. D’altro canto anche in caso di no, l’imposta rimarrà tale e non cambierà molto. Quello che cambierà è la maniera con la quale distribuire le entrate supplementari. Ci sono diversi modi di ripartizione e noi chiediamo che queste nuove entrate fiscali vadano a favore della popolazione già toccata dalla crisi del potere d’acquisto e con altre difficoltà.

Cosa non va nell’attuale ripartizione?


Il parlamento ha optato per una chiave di ripartizione che favorisce unicamente pochi Cantoni già molto ricchi come Zugo o Basilea Città. La maggior parte dei Cantoni, e quindi della popolazione, non guadagnerà nulla e ciò è davvero ingiusto. Non solo: i Cantoni che riceveranno di più hanno già annunciato che destineranno questo surplus alle stesse imprese attraverso sovvenzioni e vari sgravi fiscali.

Tra i contrari Alliance Sud teme che questo progetto non migliori la situazione dei paesi del Sud del mondo. Condivide questa posizione?


Sì, perché non è giusto che i paesi nei quali il valore è creato soffrono mentre ve ne sono altri, come la Svizzera, che sono ricchi grazie anche al dumping fiscale.

Il tasso del 15% risolverà i problemi dei paesi del Sud?


No, è una misura naturalmente insufficiente per proteggere il valore creato nei paesi del Sud e del loro trasferimento verso dei paesi ricchi. Ma credo che sia un primo passo importante e che l’avere stabilito una tassa minima possa frenare il dumping fiscale nei confronti delle imprese.

Come mai in Parlamento non si è giunti a un compromesso più equo?


Per pochi voti non siamo riusciti ad arrivare a una chiave di ripartizione del 50% tra Cantoni e Confederazione, con un plafonamento massimo oltre il quale le entrate di un Cantone ricco andavano ridistribuite agli altri. L’Udc, da sempre in prima linea a difesa del modello Zugo, ha giocato un ruolo decisivo nell’andare nell’altra direzione. Il resto della destra poi ha seguito. Le lobby economiche hanno naturalmente giocato un ruolo: per loro è utile ridistribuire il denaro, anziché alla popolazione, a dei piccoli Cantoni che possono usarlo per sovvenzionare le stesse imprese e favorire la concorrenza fiscale.

I sostenitori della tassa minima affermano che il sistema di perequazione finanziaria garantirà che alla fine tutti beneficino dell’attuale piano di attuazione della tassa minima. È così?


No, le cifre pubblicate dalla Woz (si veda il grafico in pagina, ndr) mostrano chiaramente dopo la perequazione chi sono i vincitori di questo modello. A Zugo, ad esempio, i guadagni della nuova tassa, rischiano di compensare in gran parte quanto il Cantone dà in termini di perequazione.

In caso di no alle urne, la Svizzera farà in tempo a mettere in atto un nuovo progetto entro il 2024, dato che in caso di mancato accordo gli Stati esteri potranno prelevare l’imposta non percepita in Svizzera?


Senz’altro. La stampa ha pubblicato di recente degli articoli che mostrano che gli stessi servizi del Dipartimento federale delle finanze hanno pronto un piano B e che esiste una soluzione. Metterci un po’ più di tempo non ha grande importanza. La riforma entrerà in vigore comunque, ma se la accettiamo così come proposto non ci sarà nessun vantaggio per la popolazione. Quindi, meglio prendersi un po’ più di tempo e fare le cose in modo migliore.



Pubblicato il

15.06.2023 10:59
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