Giustizia

Svizzera, 2023: tre ragazzi a processo per una lettera

Tre giovani attivisti per il clima al centro di un’assurda inchiesta federale per avere invitato a boicottare l’esercito

Il Tribunale penale federale (Tpf) di Bellinzona è luogo dove solitamente in Svizzera compaiono i grandi criminali: mafiosi, terroristi, signori della guerra, grossi riciclatori di denaro. Domani, venerdì 5 maggio, alla sbarra, però, ci saranno tre ragazzi. Tre giovani attivisti per il clima vodesi la cui unica “colpa” è quella di avere scritto una lettera: un breve testo con il quale - semplicemente - si incitava la popolazione a disertate l’esercito e a preferire il servizio civile.  

 

Sembra irreale, eppure in Svizzera, nel 2023, è possibile finire davanti al più importante tribunale del paese per avere unicamente espresso una propria opinione. Eppure è così. Lo dimostra questa piccola storia ignobile iniziata nel maggio del 2020. Siamo in piena pandemia e la sezione vodese del movimento Sciopero per il clima inoltra a diversi giornalisti e pubblica su Internet una lettera aperta al Consiglio federale. Il testo, tuttora online, invita i giovani svizzeri a fare il servizio civile e chiede di abolire l’esercito per favorire progetti più ecologici. L’idea era proprio quella di stimolare un dibattito sull’impatto dell’esercito sul clima. Quella che sembra una normale lettera militante si tramuterà però in un’indagine penale dove, per scoprire e perseguire gli autori, non vengono lesinati mezzi e per la quale interverranno le massime autorità politiche e giudiziarie di Elvezia.

 

Il Capitano Addor si arrabbia

 

A dare il via a questa vicenda kafkiana è il consigliere nazionale vallesano Jean-Luc Addor, capitano di fanteria. Il deputato UDC, avvocato, brandisce l’articolo 276 del codice penale per spiegare al Parlamento che la chiamata alla diserzione è un’incitazione alla violazione degli obblighi militari. L’articolo 276 è un retaggio della guerra fredda quasi mai applicato tanto che nemmeno il Gruppo per una svizzera senza esercito - che da anni milita per l’abolizione dell’armata nazionale – è mai stata attaccata su questo punto. Ma i giovani che si battono contro il clima propongono un nuovo modo di militare: bloccano le strade, s’incollano all’asfalto, danno fastidio. Soprattutto al capitan Addor, in passato già condannato per discriminazione raziale.

 

Il deputato vallesano chiede quindi al Consiglio federale se, di fronte a questo «gesto di sfida», intende reagire. Il Dipartimento federale della difesa gli risponde di non volere denunciare il caso alla giustizia: «Il diritto penale serve a prevenire e punire crimini e delitti. Non è inteso a restringere la libertà d’opinione o a prevenire qualche opinione indesiderata». Una risposta chiara, non c’è da eccepire. Peccato che poco tempo dopo il dipartimento guidato allora da Karin Keller Sutter cambierà totalmente approccio.

 

Il via libera di Lauber

 

A Jean-Luc Addor questa lettera brutta brutta non va proprio giù. È una questione di principio, una priorità personale: come tollerare dei giovani militanti per il clima che invitano a boicottare il prestigioso esercito svizzero. Il giorno dopo la risposta negativa del Consiglio federale, il capitano vallesano decide di agire da solo. Prende carta e penna e denuncia il caso al Ministero pubblico della Confederazione (Mpc), l’autorità di perseguimento penale che si occupa dei grandi affari internazionali di riciclaggio, corruzione, terrorismo o criminalità organizzata.

 

Pochi minuti dopo essere stato informato della denuncia l’allora procuratore generale Michael Lauber – in quel momento sotto pressione per il caso Fifa – dà mandato al procuratore Marco Renna di gestire questo “delicato” dossier. Il procuratore incaricato si mette subito al lavoro, ma ha un primo scoglio da superare: la perniciosa lettera incitante al boicotto del militare non è firmata. Il movimento Sciopero per il clima è una nebulosa oclocratica dove non vi sono gerarchie e responsabili identificabili. Che fare, quindi? La procura federale dà mandato alla fedpol di saperne di più. Viene così stilato un primo rapporto con cui vengono identificati i primi due sospetti: due ragazzi vodesi, attivi politicamente. Gli indizi sono però pochi. Ci si basa perlopiù su delle dichiarazioni fatte alla stampa da questi stessi giovani e dal fatto che uno di loro era già finito davanti ai giudici per disobbedienza civile.

 

Il via libera di KKS

 

A seguito di questo rapporto preliminare, il procuratore Renna apre un’inchiesta. Il reato ipotizzato è quello di provocazione ed incitamento alla violazione degli obblighi militari. In questo caso, però, la procura non può agire da sola. Si tratta di un delitto d’opinione e per evitare derive democratiche il procuratore deve chiede l’autorizzazione a procedere al Consiglio federale. Il 13 ottobre 2020, Marco Renna invia la sua richiesta, sottolineando che i militanti «hanno oltrepassato i limiti della loro libertà d’espressione».

 

Ad inizio 2021, Karin Keller Sutter dà il suo consenso a nome del Consiglio federale. Poco dopo, in Parlamento spiegherà che gli autori della lettera «hanno messo in pericolo la popolazione». Secondo KKS queste azioni «sono tanto meno giustificabili in un periodo critico per la salute» quando «l’esercito svizzero stava svolgendo missioni essenziali nella lotta contro il Covid-19».

 

Perquisizioni, sequestri e tre condanne

 

L’inchiesta può quindi partire. Gli investigatori ottengono una copia integrale del server e di tutte le email legate al dominio vaud.climatstrike.ch. Obiettivo: spulciare le attività effettuate il giorno della pubblicazione della lettera in questione per scoprire gli autori materiali della missiva. L’analisi permette d’identificare il creatore del sito che diventa la terza persona indagata. Nel giugno del 2021, il procuratore federale Marco Renna ordina una triplice perquisizione simultanea. Una ventina di agenti della polizia federale e vodese sono chiamati ad una missione ad alto rischio: perquisire le abitazioni di tre giovani membri del movimento Sciopero per il clima.

 

All’alba, come si fa in questi casi, gli agenti sbarcano a casa dei tre ragazzi. La missione prende delle dimensioni grottesche. Uno dei giovani non abita più all’indirizzo perquisito: la casa è quella dei suoi genitori. Poco importa: la sua cameretta d’infanzia è perquisita; il materiale elettronico della madre è sequestrato. I sospetti sono interrogati più volte, i loro telefoni e computer sono sequestrati e scandagliati grazie a delle tecnologie di punta.

 

Sulla base degli elementi raccolti, lo scorso 9 dicembre, il procuratore federale Marco Renna firma tre decreti d’accusa. I tre ragazzi sono ritenuti colpevoli di provocazione ed incitamento alla violazione degli obblighi militari. Nel dettaglio i tre attivisti sono accusati di due cose: avere diffuso la lettera a 222 giornalisti; e poi averla pubblicata su internet. La pena comprende delle aliquote giornaliere sospese, una multa di qualche centinaio di franchi e il pagamento delle spese giudiziarie. I tre si sono opposti a questa condanna e la vicenda arriverà così domani al Tpf di Bellinzona.

 

«In questa vicenda tutto è fuori proporzione e il caso ha preso una dimensione politica» ci dice al telefono David Raedler, avvocato di uno degli attivisti. Per il legale l’Mpc «non avrebbe mai dovuto aprire un’inchiesta su dei fatti che sono protetti dalla libertà d’espressione». Inoltre, sempre per l‘avvocato Raedler, «l’importanza dei mezzi messi in campo – perquisizioni, audizioni, sequestri – è fuori misura rispetto ai fatti che si intendeva chiarire». L’avvocato si aspetta un proscioglimento. Se ciò non dovesse essere il caso il ricorso al Tribunale federale e, eventualmente, alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, è cosa certa.

Pubblicato il

04.05.2023 09:32
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