Amazon arriva in Svizzera

Amazon sbarca in Svizzera grazie ad un accordo siglato con la Posta. Non si sa ancora nei dettagli quando, ma l’arrivo del gruppo di Jeff Bezos dovrebbe concretizzarsi nel corso del 2018. Non si tratta di una novità assoluta: possiamo già ordinare su Amazon dalla Svizzera, tramite un sito estero, pagando separatamente le tasse doganali. Ma con la creazione di amazon.ch, la multinazionale americana rafforzerà la sua presenza nella Confederazione. Oggi il gruppo è già il terzo commerciante online della Svizzera. Il suo successo è essenzialmente garantito da due fattori: la velocità di consegna e, soprattutto, il prezzo. Secondo alcune stime, Amazon propone prodotti a dei prezzi inferiori del 36-38 percento rispetto a Migros e Coop. Ma che cosa si nasconde dietro a questi prezzi incredibilmente bassi che, in quanto consumatori, inevitabilmente non possono che stuzzicarci?

 

Maratoneti in scatola
Work hard. Have fun. Make history (lavora duro, divertiti e fa la storia) recita la scritta che sovrasta il centro logistico di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza. È qui che, alle prime ore dell’alba dello scorso venerdì 24 novembre è partita la protesta. Non è un giorno casuale: è il Black Friday, il venerdì nero, una giornata di sconti particolarmente vantaggiosi in cui Amazon si aspetta di effettuare un altissimo numero di consegne. Nel grande centro logistico piacentino i lavoratori hanno però deciso di scioperare. Chiedono aumenti di stipendio e migliori condizioni di lavoro. E a buona ragione. Negli ultimi mesi diverse inchieste giornalistiche, italiane e no, hanno indagato le condizioni lavorative all’interno di questi centri, con gli addetti “maratoneti” (si fanno fino a 15/20 km al giorno) costretti letteralmente a correre da uno scaffale all’altro per non sgarrare sui tempi e monitorati costantemente grazie a dispositivi elettronici. A Piacenza lavorano 1.200 dipendenti Amazon (tra cui 500 a tempo indeterminato). A loro si aggiungono centinaia di altri lavoratori in somministrazione, cioè chiamati per aumentare l’organico nei periodi di punta. L’incentivo, naturalmente, è l’assunzione e il posto fisso. Ma prima di arrivarci si passa per contratti a termine anche molto brevi, durante i quali è richiesta massima flessibilità e disponibilità. Prima di Natale l’agenzia interinale svizzera Adecco selezionava magazzinieri ai quali viene richiesta «totale disponibilità oraria» per un lavoro che dovrebbe partire il 19 dicembre e concludersi il 31 gennaio, in coincidenza del picco di regali natalizi e degli eventuali resi.


Nel mondo Amazon impiega mezzo milione di persone. Un vanto per l’azienda. Ma la gran parte di tali impieghi sono di questo tipo: precari, estenuanti, sorvegliati e alienanti. Le pause per andare in bagno sono troppo brevi, gli obiettivi sono impossibili da raggiungere, chi vuole sindacalizzarsi viene marginalizzato: la vita brutale di chi lavora nei magazzini di Amazon, descritta da vari giornalisti “infiltrati” da diverse testate, è sostanzialmente questa.


Me ne infisco
Ma si risparmia non solo sulla manodopera. L’evasione fiscale è una pratica che permette altri lucrosi margini di guadagno. Lo scorso 4 ottobre, dopo tre anni di indagini, la Commissione europea ha reso la sua decisione sulle pratiche fiscali di Amazon in Europa. Il gruppo americano dovrà pagare 250 milioni di euro al fisco lussemburghese poiché il Granducato gli ha accordato delle agevolazioni fiscali giudicate illegali. «Sovvenzioni camuffate», le hanno definite i commissari. Tre quarti dei profitti del gruppo Amazon in Europa non sono stati tassati. Questo grazie ad un accordo firmato nel 2003 con il Lussemburgo – all’epoca guidato dall’odierno presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker – per avere un trattamento di favore sulle imposte da pagare per il business nel continente europeo.


La condanna dell’Unione europea si riferisce al periodo 2006- 2014.
Che cosa avveniva concretamente? Amazon ha creato due filiali nel Granducato. La prima, quella che esercitava realmente un’attività, permetteva all’impresa di trasferire in Lussemburgo tutte le vendite realizzate in Europa, così come gli utili da esse generati. Ma questa società guadagnava nei fatti molto poco e di conseguenza pagava poche tasse sugli utili. In effetti questi venivano trasferiti ad un’altra società, qualificata dalla Commissione europea come «conchiglia vuota». Il motivo ufficiale del trasferimento? Il pagamento di diritti sulla proprietà intellettuale. È questa seconda filiale, che non aveva né uffici, né attività commerciale, che concentrava la gran parte degli utili. Una società che in Lussemburgo, non avendo un’attività, non era tassata.


Questo trasferimento degli utili in Lussemburgo ha generato perdite fiscali in quei paesi dove Amazon era realmente produttiva. È il caso dell’Italia, dove il colosso americano era sospettato dalla Guardia di Finanza di aver evaso 130 milioni di euro di tasse tra il 2009 e il 2014. Lo scorso 15 dicembre è stata resa nota la firma di un accordo tra il gruppo statunitense e il fisco italiano: Amazon pagherà nel complesso 100 milioni di euro per chiudere le controversie relative ai pagamenti di imposte del periodo 2011-2015.


Alla conquista del mondo
«Io credo che questo Bezos non stia lavorando per guadagnare, stia lavorando per prendere il mercato. Ma quale mercato, il mondo? Questo sta prendendo il commercio mondiale». Così si esprime Gian Gaetano Bellavia, consulente della procura di Milano, nell’emissione di Report andata in onda su Raitre l’11 dicembre. Analizzando i conti di Amazon, l’esperto si rende conto che gli utili registrati dal gruppo negli ultimi dieci anni non sono così astronomici. La cifra d’affari invece continua ad aumentare del 30-40 per cento ogni anno. Tradotto significa che Amazon tiene appositamente i propri prezzi bassi per andare alla conquista del mercato mondiale. «Quando fanno così prima o poi... alzano i prezzi. E a quel punto, uno non può fare diversamente perché non c’è più il resto» conclude Gian Gaetano Bellavia. L’obiettivo, insomma, non è fatturare sul prodotto, ma portare l’utente all’interno del proprio recinto e non farlo più uscire.


Amazon non è più la libreria online creata nel 1995 a Seattle da un ingegnere informatico del New Mexico. Jeff Bezos è ormai l’uomo più ricco del mondo, mentre la sua creazione è una multinazionale da 44 miliardi di dollari che non cessa di espandersi e accaparrarsi nuovi mercati. La multinazionale americana – che en passant possiede 32 Boeing 767 per distribuire i suoi prodotti nei vari centri sparsi per il mondo - va oltre al semplice commercio al dettaglio: pubblica libri, progetta vestiti, fabbrica hardware, controlla catene di negozi alimentari, gestisce datacenter, concede prestiti eccetera. Amazon è oggi l’azienda che detiene il monopolio globale in gran parte dei settori del commercio virtuale e non solo. L’arrivo in Svizzera non è che un insignificante passaggio di questa marcia trionfale. L’unico pericolo per Amazon è forse la sua stessa corsa al monopolio che potrebbe spingere i vari anti-trust a prendere una decisione circa la natura monopolistica della sua attività. Negli Usa c’è ormai chi propone di smembrarla in due.

 

Pubblicato il 

24.01.18
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