Graziano Pestoni muove un appunto a un mio articolo (La stupidità neoliberista) e mi scrive: «Ti leggo sempre con interesse e, abitualmente, condivido tutto quanto scrivi. Questa volta su area sei stato però troppo buono. Lo smantellamento della Posta, delle ferrovie e delle comunicazioni, non è solo opera del blocco borghese. Il Pss quasi compatto ha votato tutto. Sev e Uptt erano pure d’accordo. E poi c’erano anche i... prima i nostri.» Marco Tognola in un suo articolo su area è categorico: «Le fasce popolari tradite dalla sinistra». Nel primo caso si potrebbe dire che la sinistra si è lasciata intrappolare nell’esaltazione del mercato come sola via percorribile, colpita anche da un rovinoso “complesso di affidabilità economica”, divenuto capitolazione al neoliberismo. Nel secondo caso si va oltre, quasi che la sinistra si sia anche svuotata di principi ed azioni.


Non si sbaglia a far risalire alla liberalizzazione del mercato (anche dei capitali) la madre di tutte le riforme neoliberiste. Del rendere tutto mercato (mercantizzare) si è fatta una legge della storia, del mercato una realtà naturale, dello Stato il conseguente parassita degli interessi privati. Il neoliberismo (recepito da tutti i partiti borghesi) è quindi rifiuto delle regole (deregolamentazione) e dell’intervento dello Stato. La sinistra, ostile per tradizione alla privatizzazione dei servizi pubblici e favorevole all’azione regolatrice dello Stato, doveva quindi essere l’avversaria fisiologica della smobilitazione del servizio pubblico. Non lo è stata. La sinistra si è incantata. Ma non perché non rifiuta il “laisser faire” (mercato sregolato). Perché il neoliberismo non è il “laisser faire”. È la logica perversa che ha posto le istituzioni e i campi sociali sotto la cappa ferrea della concorrenza, della competitività, della performance ad ogni costo. È tutta la società che deve obbedire alla pretesa razionalità del mercato. Dai settori d’attività che non possono essere direttamente mercantili (salute, assistenza, formazione, previdenza, servizi pubblici) sino agli stessi soggetti costretti a dover rispondere nei loro atti e persino desideri all’imperativo illimitato e categorico del “sempre di più”, pena l’esclusione. Lo stesso Stato (vedi le norme fiscali in votazione) non è sminuito, è diventato a sua volta un attore insostituibile della co-produzione di norme che giovino al mercato privato (e non tanto al bene comune, come i servizi pubblici), alla finanza (sorreggendola prioritariamente), alle multinazionali (defiscalizzandole), alle istituzioni internazionali (cedendo sovranità e giustizia economica). Dentro tutto questo si è posto il meccanismo del continuo ricatto della “competitività”, mosso appunto dal dio mercato-liberalizzazione.


Il risultato sono tre paradossi. Una grave crisi paragonabile a quella del ‘29 che non ha cambiato un gran che, continua a confermare un sistema fallimentare. Il “politicamente corretto” della sinistra, come avversione alla tentazione del politicamente scorretto montante, scurrile, violento e fascista, diventa funzionale alla “governance” neoliberista e sta così rubandole, nella logica sbilenca delle cose, ampie praterie. Al posto di comando finiscono coloro che giocano il doppio gioco ingannando i defraudati del neoliberismo: si denunciano gli effetti nefasti di liberalizzazione e globalizzazione, si invocano protezioni e chiusure, si riuscirà in tal modo a radicare la parte peggiore e più illiberale del sistema. Ammiro Pestoni che crede in un rovesciamento possibile (vedi proposta di rinazionalizzazione delle ex-regie federali). Proviamoci.

Pubblicato il 

21.12.16
Nessun articolo correlato