“Terroristi”. Ecco l’argomento chiave del ministro turco degli Affari esteri, in visita in Svizzera a inizio novembre, quando si tratta di spiegare gli arresti di giornalisti. “Nessuno è intoccabile. Tutti i giornalisti che hanno sostenuto il tentativo di putsch saranno oggetto di indagini giudiziarie,” ha dichiarato Mevlüt Cavasoglu nel corso della conferenza stampa a Berna.
Tentava così di giustificare l’arresto di undici giornalisti e impiegati del quotidiano Cumhuriyet e la chiusura di quindici media nel corso di un solo week-end, a fine ottobre. Le persone arrestate raggiungono in prigione i 130 giornalisti detenuti provvisoriamente. Ad oggi si contano più di 160 media chiusi dal tentativo fallito di colpo di Stato contro il governo di Erdogan, nel luglio scorso.
L’accusa di “terrorismo” è decisamente pratica. Ha permesso anche di arrestare una dozzina di deputati del partito HDP, il partito pro-curdo, di cacciare 24 sindaci eletti e di epurare l’amministrazione, sospendendo oltre centomila funzionari: insegnanti, politici, giudici, membri dell’esercito. Tutti sono oggetto di un’inchiesta penale e 35.000 di loro sono detenuti.


Contrariamente a quanto sostiene il ministro turco, tutte queste persone non possono essere sospettate di legami con il colpo di Stato. Il governo Erdogan sfrutta lo stato d’emergenza per tentare di ridurre al silenzio tutte le voci dissidenti o critiche in Turchia. Ne ha anche approfittato per giustificare la sospensione, a intervalli regolari negli ultimi mesi, dell’accesso ai social media come Facebook o WhatsApp.
Si tratta di un abuso di potere in piena regola, che viola la libertà d’espressione. Le chiusure dei media hanno permesso alle autorità turche di trasformare il paesaggio mediatico, un tempo rigoglioso, in un deserto. Ogni giornalista critico verso il governo può legittimamente temere di finire in prigione.


Se lo stato d’emergenza non sarà rapidamente revocato, c’è da temere che i poteri discrezionali quasi illimitati esercitati dalle autorità mettano in pericolo il rispetto dello stato di diritto. L’Unione Europea è “estremamente preoccupata”. Ma il governo Erdogan è suo partner sulla questione migratoria, e deve mettere in atto il vergognoso contratto firmato in marzo. In cambio di sei miliardi di euro e di concessioni politiche da parte dell’Ue, la Turchia aveva accettato di riprendere tutti i migranti approdati sulle isole greche illegalmente. I dirigenti europei rimetteranno finalmente in discussione questo accordo per condannare con fermezza il regno dell’arbitrio alle porte dell’Europa?

Pubblicato il 

23.11.16
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