Italia

“Insieme” è il titolo della kermesse del 1° luglio a Roma promossa da Giuliano Pisapia con i fuoriusciti dal Pd dell’Mdp capitanati da Luigi Bersani. Insieme a chi, e per fare che cosa? «Dobbiamo essere alternativi», dicono i promotori del progetto di costruire un nuovo partito a sinistra del Pd renziano. Ma alternativi a chi? E fino a quando? Al Pd stesso, nel primo turno delle elezioni politiche del prossimo anno, per poi magari allearsi al Pd nel secondo, o comunque in Parlamento e al governo? A queste domande non hanno risposto né Pisapia né Bersani; e il motto del meeting “Nessuno dev’essere escluso” nella piazza S.S. Apostoli che fu di Romano Prodi non trova conferma nella decisione dei promotori di negare il diritto di parola (e dunque di presenza) tanto a Sinistra italiana di Fratoianni e Vendola quanto ai promotori del partecipatissimo incontro al teatro Brancaccio di due settimane fa organizzato da Montanari e Falcone in cui si era parlato finalmente di contenuti (lavoro, diritti, democrazia, scuola, immigrazione, partecipazione…). Esclusioni che al califfo Matteo Renzi non bastano, lui con D’Alema, Bersani, Speranza non vuole avere niente a che fare. E anche Pisapia comincia a dargli fastidio, guardando con occhi sempre più languidi al resuscitato Berlusconi. Al punto che la minoranza orlandiana del Pd chiede che l’ipotesi di un accordo con l’ex cavaliere venga sottoposto a referendum tra gli iscritti.


Non si è parlato di contenuti, anche per nascondere le divisioni interne, per esempio tra chi è per il ripristino dell’art.18 dello Statuto e chi pensa invece a “un art.17”, parola di Bersani che vorrebbe recuperare solo in minima parte il diritto al reintegro di chi è licenziato ingiustamente. Neanche sulle alleanze c’è chiarezza: a chi chiede di “tirare il Pd per la manica” risponde chi invece si muove su un percorso realmente alternativo. L’intervento più di sinistra è stato quello spedito online che dice: «Care compagne e compagni (…) sono vicina a questa iniziativa che spero possa riunire tutte quelle anime della sinistra che si sentono confuse e non rappresentate. Ho sempre pensato che il paese ha bisogno di più sinistra per ristabilire la cultura della giustizia sociale e della rappresentanza di classe». Firmato, pensate un po’, Sabrina Ferilli.


Si è molto parlato della necessità di riportare alle urne milioni di italiani di sinistra che non si sentono più rappresentati. Ma l’idea di restare in un orizzonte neoliberista, moderato da una spruzzata di socialdemorazia bersaniana, non tiene conto del livello di rottura democratica avvenuta in Italia. Se alle regionali dell’“Emilia rossa” vota il 37 per cento dei cittadini, se in una città travolta dalle contraddizioni tra lavoro e ambiente come Taranto va alle urne il 32 per cento, se ancora in Emilia il Pd perde 8 ballottaggi su 8 ed è sconfitto in Toscana, Marche, Piemonte, a Genova e in tutta la Liguria, come si può pensare che basti tirare Renzi per la manica per restituire dignità, entusiasmo e rappresentanza ai lavoratori a cui l’intero centrosinistra ha preferito Marchionne? È il paradigma politico che va cambiato, se si vuole ritrovare una condivisione sentimentale con il mondo di sotto.

Pubblicato il 

06.07.17
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