La mano invisibile

Quando si propone una riforma, capita di trovarsi di fronte a un rompicapo: se dico no perché non posso accettare alcune impostazioni, butto via altre scelte che potrebbero invece  essere opportune. Spesso le impostazioni sono di sistema, le scelte condivisibili concessioni per farlo passare. La riforma sulla previdenza vecchiaia (PV 2020) ne è un esempio. Con l’aggiunta di un paradosso che sta dannando molti animi: il fallimento della riforma (referendum) non farebbe il gioco… dell’altra parte? Già, ma anche la riforma così com’è presentata non evita di fatto le vere riforme? Mi limito a tre considerazioni.


1. La strategia del terrore. Si pone sempre come premessa al tutto la situazione finanziaria dell’Avs. Era già così agli inizi. Nel 1997 un gruppo di lavoro federale pronosticava un buco di 15 miliardi di franchi nei conti dell’Avs entro il 2010. Motivi: aumento della durata di vita, regressione della parte degli attivi (quindi dei contributi). Il pronostico non si è realizzato, grazie all’immigrazione e all’aumento del lavoro femminile. Ora, per il 2030 l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali si attende un disavanzo dei conti dell’Avs tra 5,1 e 11,4 miliardi; l’Amministrazione federale di 8 miliardi. Non si vuol negare il problema finanziario. Si va però avanti con il solito spettro del fallimento dell’Avs, creando il clima poco propizio alle riforme. Dapprima, perché le previsioni hanno sempre dimostrato scarsa attendibilità o conoscenza della realtà e delle sue mutazioni. Poi, perché destra e organizzazioni padronali è arroccandosi attorno alle “necessarie economie” che giustificano la difesa di interessi corporativisti (privatizzazioni, finanza) e non pensano alla salvezza del primo pilastro e tanto meno alla solidarietà intergenerazionale (che sviliscono). Non va minimizzato il problema finanziario: non però cercando di demolire l’esistente, ma ripensando il sistema di finanziamento, estendendone la base contributiva (sui dividendi, su guadagni di capitale, sull’impiego di robot, sulla partecipazione della Confederazione). Ciò che si è sempre evitato.


2. La natura del mercato del lavoro. I risultati negativi della ripartizione dell’Avs (cioè la differenza tra i contributi assicurativi e le prestazioni versate) saranno anche dovuti all’aumento dei pensionati del cosiddetto “baby boomer”. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento della speranza di vita accentuano la tendenza allo squilibrio. Non si pone però mai l’occhio sulla natura del mercato del lavoro, in particolare della massa salariale e del tipo di occupazione. Da anni assistiamo a due fatti: cresce la rimunerazione del capitale, stagna o diminuisce la rimunerazione del lavoro; diminuiscono i posti di lavoro a tempo indeterminato, aumentano i posti a tempo determinato, a tempo parziale, intermittenti, precari, lavori destinati ad accrescere le lacune della copertura assicurativa sociale. Inutile dire che se si vogliono fare le cose seriamente non le si fanno con elemosine o aumentando l’età del pensionamento, ma con una migliore ripartizione tra capitale e lavoro e con un più attento diritto del lavoro. Che la politica, già fiscalmente, contrasta.


3. Se guardiamo al risultato degli investimenti delle riserve Avs (create all’origine per far fronte alle fluttuazioni della ripartizione) non si può fare a meno di vedere gli effetti perversi della finanziarizzazione che sta contagiando tutto l’assieme dei fondi assicurativi. Appena i mercati crollano, crollano i rendimenti dei fondi. I rendimenti sui titoli pubblici decennali nei quali l’Avs investe una gran parte delle sue riserve, sono negativi. Viene sacrificata un’assicurazione sociale alla politica monetaria; peggio, la si lascia in balia di interessi economici e finanziari che nulla hanno a che fare con l’interesse comune di cui l’Avs è una delle migliori interpreti. Capita anche la con la riduzione del tasso di conversione nella previdenza professionale.

Pubblicato il 

16.03.17
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